“Non dobbiamo dare per scontato che un albero sia verde. Il mare azzurro. Non dobbiamo dare nulla per scontato. A vedere s’impara. S’impara che il verde sono mille verdi e che un albero nella fantasia può essere rosso. E il fuoco una striscia di azzurro. Potrei dire paradossalmente che nella pittura il colore non esiste. Esiste il desiderio del pittore di dare corpo agli informi bagliori della nostra remota esistenza.” Questo discorso, estratto da Arte per amore (Feltrinelli), a firma del pittore e scrittore Ernesto Treccani, diventa, per noi, come un esordio o inizio, di ciò che segue per il neo-artista Roberto Corso. Che, inconsapevolmente, e` dentro questo concetto treccaniano, come tanti altri artisti puri e liberi quando tentano di registrare le loro espressività su se stessi e sul concreto vissuto e prediletto. Queste prime esperienze d’arte di Roberto Corso ci consentono una lettura ed una conseguente nota tendente a cogliere segni e contenuti di una produzione culturale esigua, ma condotta con un’appassionata attesa ed un dignitoso, non accademistico rigore, che si trasmette in un equilibrio di immagini. La scrittura ci sembra autonoma, a parte certi riferimenti alla letteratura d’arte ancora lineare o di modello; autonoma e spontaneistica, sin dalle prime prove che – a detta dello stesso artista – risalgono ad un decennio fa e che avevano occupato l’esecutore con una pittura calda ed un segno forte, marcato. La produzione più recente ha come spazio, per l’espressione, diventata più ragione di vita per Corso, la tela e il foglio. Quest’ultimo e`, per i disegni (a tempera mista, in prevalenza), che sono un cospicuo corpus di operette senza unita` tematica, varianti, pertanto, ma legate da una precisa idea, consistente nella ricerca del fiabesco, del fantastico, di una visione della lindezza o nitidezza delle aree naturali che l’artista anche reca nelle tele, dove capeggiano alberi esotici, non comuni nella realtà campestre, o pezzi di questo come simbolo della vita botanica, ora dilaniata, o arsa e distrutta dai veleni industriali. Su questa direzione tematica , il discorso appare più impegnato e reso più icastico nella delineazione formale delle cose che compongono i vari quadri, nei fogli e nelle tele che abbiamo avuto modo di leggere alla galleria “La Meridiana”. Che cosa, in effetti, c’è in questo iniziatore di una cultura che in questa epoca sta sempre più conquistando, emanando febbri realizzative nei giovani ed anche negli anziani, come per avere illusioni necessarie, tendenti a coprire i vuoti delle angosce esistenziali ? C’e` il senso giusto di intendere la vita, più nei suoi aspetti ardui, e poterli svolgere con la fatica della riflessione e con il ricorso al “desiderio” – come nella citazione di sopra si diceva – “del colore”. E con colori, dosati e pesati, rispetto alla prima fase, l’artista indora le figure, che, qualche volta, sono nudi muliebri, nelle tele, per l’insorgere dell’eros che indica forme “preziose” e aperte al sensualismo; spesso vita arborea, come richiamata da tempi lontani; costruzioni, come viste dalla fantasia accesa o in sogno. E sono anche queste a dare , nella produzione stabilita nei fogli, un significato quasi poetico, di genere idilliaco, non sempre continuativo o raggiunto, laddove l’operazione si ripete sia pure con quelle uscite conclusivamente positive. O forse, queste iterazioni tematiche, che tentano di riproporre il paesaggio, un po’, qui, sui generis, vogliono fare il punto su ambienti offesi e perduti, di quest’ultima civiltà, come di quella trascorsa, prossima e remota. L’artista – va ancora detto – ha ripreso, per il suo settore grafico, diverse immagini della civiltà medioevale, riscoprendole nel loro aspetto di documento e simbolo, ma anche per intendere quanto possa essere efficace la compresenza di ciò che appartiene al tempo e ritorna, imponendosi, come confronto, esemplarità rarità ed intramontabilità. Da queste pagine, sull’alveo del leggibile, anche da parte del fruitore meno interessato all’intendimento dell’arte, non si intravede alcun segno tendente ad interrompere la costruzione della formalità , al fine di determinare vie di uscita astrattistiche per illusione del nuovo, ingannevole, e rivoluzionario. Dentro, pertanto, le linee delle cose offerte dalla natura e scoperte o trovate dall’uomo, questo giovane artista, stabilisce e cura la sua espressione grafica e pittorica. Ed infine: se il compito della critica sta nell’analizzazione del processo della rarefazione o di ciò che effetto della livezza ed efficacia, noi, in questa nota, per la realtà in crescita letta, abbiamo provato a farlo.“ Sebastiano Saglimbeni – Scrittore |
“Di Roberto Corso si può finalmente dire, davvero a ragione, che non è mai scontato!! Difficile trovare uno stile, ora si dedica alla grafica monocromatica, ora dipinge con dei barattoli di antiruggine trovati in soffitta, ora esplode in fantastici cromatismi che gli hanno valso l’etichetta di “colorista”. Ma Corso fa molto di più! Cambia tutti questi stili e modi di dipingere in un solo giorno!!!Impossibile tracciare una evoluzione lineare del pittore. Quando un artista è un vero artista, la sua vita è la sua prima opera. Non gli resta quindi che comunicare questa esperienza descrivendola nei suoi gesti, nelle parole, nelle immagini.Corso ha assorbito tutto, come un tampone infinito: dai primitivi all’Informale, dai classici alla Transavanguardia. Dalla delicatezza compositiva orientale alla Pop Art, dai Fawves, allo spot televisivo dell’ultimo prodotto commerciale. Assorbe non solo diecimila anni di pittura figurativa, ma anche tremila messaggi visivi giornalieri, facendoli poi riaffiorare delicatamente in una composizione floreale, o vomitandoli in grattaceli esplosivi. Come quelli che dipingeva misteriosamente pochi giorni prima della catastrofe delle torri gemelle.Questo passaggio dal “cercare al sentire, dal “pensare al vivere” è quello che rende così originale e inafferrabile la sua opera. Mai fossilizzato in uno “stile”, mai rattrappito nella nevrosi della ossessiva ricerca di una, ormai sempre più impossibile, “originalità”, mai frenato dalla paura di comunicare. Corso è un gigante fra i suoi simili perché fondamentalmente è vivo. E trasferisce questa vitalità in ogni suo disegno e dipinto e, attraverso questi, nel salotto di casa nostra.” Dott. Carlo Alberto Prete – Professore in Storia dell’Arte |